top of page

Al milite ignoto

Caro compagno, ti scrivo

una lettera col dito sul fango:

forse la leggerà la pioggia

o il fratello morto qui a fianco.

Vorrei dire molto e dar voce

al tuo estremo respiro,

ma ho soltanto una croce

di spada, e nemmeno una biro.

Ma, credimi, quello che è peggio

è che proprio non ti conosco:

tra mille sei per me solo un volto,

una goccia in un mare d’inchiostro.

Giuro: vorrei consegnarti alla storia

narrando di epiche imprese,

ma non c’è gloria a morire

per una freccia, solo e indifeso.

Riposa in pace, compagno caro:

per te non è più amaro il campo,

non è più dolorosa la guerra

infinita contro la morte.

Un prete dirà di salvezza all’anima

e resurrezione alla carne:

io dirò che sarà terra il sangue,

brezza lo spirito, o forse bufera.

Ma io sono soltanto un soldato

che ha violato la Legge del campo,

perché la tua morte ha acceso

un lampo nero nella mia mente.

Ho piantato i piedi per terra,

voltato le spalle all’Arciere,

perché mente la regola antica

del “chi si volta è perduto”:

non siamo persi, ma solo caduti

fuori dal campo e dalla guerra,

fuori dal tempo che ci spinge avanti.

Guardando l’esercito in preda

all’ebbrezza della battaglia

mi pare che ognuno di loro si creda

estraneo alla debolezza.

Ma io e te, caro compagno,

siamo deboli briciole dell’Universo:

tu, morto per una freccia,

e io, lasciato col tempo perso

a parlare ad un corpo freddo.

Ti scrivo, caro compagno,

una lettera muta nel fango

perché davanti a due caduti

anche i soldati si fermino

in mezzo a una pioggia di frecce.

Caro compagno, ti scrivo

senza speranza una lettera

muta, una richiesta d’aiuto

al cielo, ai compagni, alla terra

o a chiunque voglia ascoltare;

ti scrivo cadendo, col dito

che traccia arabeschi nel fango,

forse un po’ perché invidio

quel sorriso sporco di sangue

che hai lasciato nell’andare via

dalla guerra in cui io rimango.


bottom of page