La canzone del Quarnaro
- Gabriele D'Annunzio
- Oct 15, 2017
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Tibi cornua nigrescunt nobis arma dum clarescunt.
Siamo trenta d'una sorte, e trentuno con la morte.
Eia, l'ultima! Alalà!
Siamo trenta su tre gusci, su tre tavole di ponte: secco fegato, cuor duro, cuoia dure, dura fronte, mani macchine armi pronte, e la morte a paro a paro.
Eia, carne del Carnaro! Alalà!
Con un'ostia tricolore ognun s'è comunicato. Come piaga incrudelita coce il rosso nel costato, ed il verde disperato rinforzisce il fiele amaro.
Eia, sale del Quarnaro! Alalà!
Tutti tornano, o nessuno. Se non torna uno dei trenta torna quella del trentuno, quella che non ci spaventa, con in pugno la sementa da gittar nel solco avaro.
Eia, fondo del Quarnaro! Alalà!
Quella torna, con in pugno il buon seme della schiatta, la fedel seminatrice, dov'è merce la disfatta, dove un Zanche la baratta e la dà per un denaro.
Eia, pianto del Quarnaro! Alalà!
Il profumo dell'Italia è tra Unie e Promontore. Da Lussin, da Val d'Augusto vien l'odor di Roma al cuore. Improvviso nasce un fiore su dal bronzo e dall'acciaro.
Eia, patria del Quarnaro! Alalà!
Ecco l'isole di sasso che l'ulivo fa d'argento. Ecco l'irte groppe, gli ossi delle schiene, sottovento. Dolce è ogni albero stento, ogni sasso arido è caro.
Eia, patria del Quarnaro! Alalà!
Il lentisco il lauro il mirto fanno incenso alla Levrera. Monta su per i valloni la fumea di primavera, copre tutta la costiera, senza luna e senza faro.
Eia, patria del Quarnaro! Alalà!
Dentro i covi degli Uscocchi sta la bora e ci dà posa. Abbiam Cherso per mezzana, abbiam Veglia per isposa, e la parentela ossosa tutta a nozze di corsaro.
Eia, mirto di Quarnaro! Alalà!
Festa grande. Albona rugge ritta in piè su la collina. Il ruggito della belva scrolla tutta Farasina. Contro sfida leonina ecco ragghio di somaro.
Eia, guardie del Quarnaro! Alalà!
Fiume fa le luminarie nuziali. In tutto l'arco della notte fuochi e stelle. Sul suo scoglio erto è San Marco. E da ostro segna il varco alla prua che vede chiaro.
Eia, sbarre del Quarnaro! Alalà!
Dove son gli impiccatori degli eroi? Tra le lenzuola? Dove sono i portuali che millantano da Pola? A covar la gloriola cinquantenne entro il riparo?
Eia, chiocce del Quarnaro! Alalà!
Dove sono gli ammiragli d'arzanà? Su la ciambella? Santabarbara è sapone, è capestro ogni cordella nella ex voto navicella dedicata a San Nazaro.
Eia, schiuma del Quarnaro! Alalà!
Da Lussin alla Merlera, da Calluda ad Abazia, per il largo e per il lungo siam signori in signoria. Padre Dante, e con la scia facciam "tutto il loco varo".
Eia, mastro del Quarnaro! Alalà!
Siamo trenta su tre gusci, su tre tavole di ponte: secco fegato, cuor duro, cuoia dure, dura fronte, mani macchine armi pronte, e la morte a paro a paro.
Eia, carne del Carnaro! Alalà!
11 febbraio 1918.
Gabriele D'Annunzio
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