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Odi, III, 30 (Exegi monumentum)

  • Quinto Orazio Flacco
  • Nov 4, 2017
  • 1 min read

Exegi monumentum aere perennius regalique situ pyramidum altius, quod non imber edax, non Aquilo inpotens possit diruere aut innumerabilis annorum series et fuga temporum. Non omnis moriar multaque pars mei vitabit Libitinam; usque ego postera crescam laude recens, dum Capitolium scandet cum tacita virgine pontifex. Dicar, qua violens obstrepit Aufidus et qua pauper aquae Daunus agrestium regnavit populorum, ex humili potens princeps Aeolium carmen ad Italos deduxisse modos. Sume superbiam quaesitam meritis et mihi Delphica lauro cinge volens, Melpomene, comam.

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Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo, più alto della regale maestà delle piramidi: che né la pioggia che corrode, né il vento impetuoso potrà abbattere, né l’interminabile

corso degli anni, la fuga del tempo. Non morirò del tutto, anzi una gran parte di me eviterà la morte; per sempre io crescerò rinnovato dalla lode dei posteri finché il pontefice salirà in Campidoglio con la processione silenziosa delle vergini. Si dirà che io, dove strepita scrosciante l’Ofanto e dove Dauno, povero d’acque, regnò su popoli agresti, da umili origini fatto potente, per primo ho portato a ritmi italiani la poesia eolica. Assumiti questo traguardo conquistato per tuo merito e con l’alloro di Delfi, Melpomene, di buon grado cingimi i capelli.


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